Chianti, Maremma & Co. L’oro rosso vale più di un miliardo

 

1 Giovanni Manetti, presidente del Consorzio C hianti classico, il più antico d'Italia

Giovanni Manetti, presidente del Consorzio Chianti classico, il più antico d’Italia

FabrizioBindocci_Presidente_Consorzio Brunello Montalcino, l'area più pregiata della regione

Fabrizio Bindocci, Presidente, Consorzio Brunello Montalcino, l’area più pregiata della regione

Prendi un winelover americano, stappa un vino toscano e farai un uomo felice. Se poi nel bicchiere c’è un Brunello di Montalcino o un Supertuscan o un Chianti Classico sarà tuo amico per sempre. Proprio così. Come se non bastassero i tesori artistici, la storia millenaria, i paesaggi mozzafiato, a fare della Toscana una delle mete più sognate a livello planetario è l’eccellenza dei suoi vini. Un mosaico di produzioni (o di denominazioni per dirla con i vignaioli) che ha pochi confronti e appassiona i consumatori. Terra di grandi rossi, con il vitigno Sangiovese che la fa da padrone nelle sue varie declinazioni, la regione vanta etichette che fanno perdere la testa ai collezionisti di tutto il mondo, come il Sassicaia della Tenuta San Guido, il Masseto e l’Ornellaia della Marchesi Frescobaldi, il Solaia e il Tignanello della Marchesi Antinori. Ma non solo. La Toscana del vino piace anche e soprattutto perché dagli Appennini alle sue dolci colline orlate di cipressi  fino al mare Tirreno propone vini per tutte le tasche, non solo per intenditori, figli del loro territorio e quindi unici. Chianti (la denominazione più diffusa e popolare da non confondere con il Chianti classico noto anche come Gallo nero), Morellino di Scansano (il rosso che nasce a sud della regione, vicino al mare), Bolgheri (area in grande spolvero di etichette pregiate), Orcia (figlia della Val d’Orcia patrimonio Unesco, è tra le più giovani e intraprendenti denominazioni), Nobile di Montepulciano (questo rosso di razza è anche la prima docg italiana e ha appena deciso di aggiungere in etichetta «Toscana» per distinguersi dall’omonimo vino abruzzese ), Vernaccia di San Gimignano (il più importante bianco della regione) o ancora Maremma toscana che si estende tra il Monte Amiata e la costa maremmana fino all’Argentario e  conta tra i suoi vini anche il Vermentino, un bianco biricchino molto gettonato: sono solo alcune delle più note denominazioni che compongono la variegata tavolozza enologica  toscana.

Non c’è dubbio, il vino rappresenta il pilastro portante dell’economia agricola regionale: sposato al cibo fa volare il suo patrimonio gastronomico ed è il motore dell’enoturismo, fattore ormai decisivo per i bilanci delle aziende vitivinicole, con ricadute importanti in tutti i territori.

Secondo i dati dell’ultimo Osservatorio del turismo promosso dalle Città del vino, lo scorso anno in Italia 15 milioni di turisti sono andati per cantine (+7%) generando un giro d’affari di 2,65 miliardi (+ 6%) e in questa cornice la Toscana è la prima destinazione enoturistica italiana.

Donatella Cinelli Colombini

Donatella Cinelli Colombini

Superfluo sottolinearlo, causa Covid, il 2020 vedrà dimagrire questi numeri. Ma le cantine toscane non si piangono addosso e non si fermano e soprattutto non cambia la sostanza: «L’ enogastronomia resta la principale motivazione di scelta dei turisti stranieri. In pratica le nostre cantine attraggono di più degli Uffizi o del Colosseo», dice Donatella Cinelli Colombini, vignaiola a Montalcino e in Val d’Orcia (di cui presiede anche il Consorzio) oltre che fondatrice del Movimento del turismo del vino e dell’iniziativa Cantine Aperte, affermatasi in tutta Italia come un appuntamento tra i più graditi dai winelovers.

Non a caso la Regione Toscana è stata la prima a introdurre una legge sull’enoturismo in linea con i dettami della normativa nazionale in materia (in vigore da gennaio di quest’anno) oltre a prendersi cura del suo patrimonio enogastronomico con iniziative di rilievo come Buy wine e Buy food, promosse per portare in vetrina e mettere in contatto con buyer di tutto il mondo, anche territori e operatori minori che non hanno la forza delle produzioni più famose.  Va da sé che dietro le idee c’è bisogno di gente che ci creda, come Marco Remaschi, assessore all’agricoltura e Gennaro Giliberti, responsabile del comparto agricolo e delle attività promozionali: morale  è difficile trovare un’altra Regione che abbia così a cuore l’intera filiera della sua agricoltura.

Alcuni numeri. Sono più di 20mila le aziende vitivinicole toscane, per lo più medie e piccole, e tutte insieme lavorano un vigneto di circa 59 mila ettari. Di questi, ben 56 mila sono destinati alla produzione di vini di alto livello (denominazioni certificate): vale a dire il 96% del totale contro una media nazionale del 62%. Un primato di qualità diffusa, che regala alla Toscana ben 58 vini Dop (denominazione di origine protetta) e 6 Igp (Indicazione geografica protetta) e si traduce in una produzione media di 2,4 milioni di ettolitri l’anno, equivalente all’11% di tutto il vino italiano di maggiore qualità, per un controvalore di circa 1 miliardo di euro (dati Ismea). Va da sé che più della metà del vino toscano se ne va oltre frontiera, con Usa e Germania in prima fila: se poi si considerano solo i vini Dop, questi rappresentano quasi il 19% del totale export nazionale di vini Dop fermi, quota che sale al 26% se si considera il valore.

Gennaro Giliberti, Regione Toscana

Gennaro Giliberti, Regione Toscana

Insomma vino e Toscana sono eterno amore e il brand Toscana si conferma motivo di forte attrazione sia in Italia che all’estero. Da qui  l’iniziativa di proteggere questo grande capitale con il nuovo Consorzio Vino Toscana che raccoglierà sotto il suo cappello tutti i vini Igt (indicazione geografica tipica): dai famosi supertuscan come L’Apparita di Castello di Ama, Flaccianello di Fontodi, Coevo di Cecchi, Siepi di Marchesi Mazzei, Sangioveto di Badia Coltibuono, Vigorello di San Felice, Casalferro di Castello di Brolio, Galatrona di Petrolo, il Cabreo delle Tenute Folonari  alla miriade di etichette che affollano gli scaffali della grande distribuzione, rossi per lo più, ma anche bianchi e rosati. Una fetta di mercato imponente: circa 100 milioni di bottiglie da 3 euro a più di 300 euro, per un giro d’affari che supera il mezzo miliardo. «Nel mondo la Toscana è vista quasi come un Paese, il Consorzio vuole proteggere questo valore straordinario e accompagnare i produttori», dice Lamberto Frescobaldi che assieme a tanti altri vignaioli, noti e meno noti, ha aderito al nuovo Consorzio, apprezzato anche dal mondo cooperativo regionale.

Presieduto da Cesare Cecchi e coordinato da Stefano Campatelli, il Consorzio Vino Toscana già rappresenta il 45% della produzione totale e, dopo l’obbligato fermo dovuto al maledetto virus, si è rimesso in moto per raggiungere il 51% della produzione e il 35% dei produttori, requisiti di base per il suo riconoscimento giuridico.

Alla guida del nuovo Consorzio Vino Toscana:  Cesare Cecchi Presidente e Stefano Campatelli direttore

Alla guida del nuovo Consorzio Vino Toscana: Cesare Cecchi Presidente e Stefano Campatelli direttore

l economia del corriere 2020-06-22

Scarica l’articolo de L’economia del Corriere del 22-06-2020

Anna Di Martino

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