Il vino in Borsa è sempre un affare

Mio pezzo su Civiltà del Bere

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Gli indici e l’andamento delle aziende italiane quotate, Masi Agricola e Italian Wine Brands, indicano che investire sul vino in Borsa continua a essere una scelta fruttuosa, anche di questi tempi. Alcuni insight dal mercato.

Secondo l’ultimo rapporto di Mediobanca sul mercato internazionale del vino, fino allo scoppio della pandemia, le aziende vitivinicole quotate in Borsa hanno sfoggiato performance invidiabili, con rendimenti superiori a quelli delle Borse mondiali: dal gennaio 2001 al 3 aprile 2020, l’indice del settore è cresciuto, compresi i dividendi distribuiti, del 222,5% a fronte del 129% messo a segno dai listini globali. In soldoni vuol dire che 100 euro investiti sul vino 20 anni fa, al 3 aprile del 2020 si sono trasformati in 322,5 euro; mentre lo stesso investimento in Borsa avrebbe reso 229 euro. Sempre Mediobanca ci dice che la capitalizzazione complessiva delle 52 società che compongono l’indice di Borsa (creato dalla banca d’affari milanese nel 2004) ha subito una brusca perdita del 30% nel primo trimestre 2020 a seguito del Covid-19, scendendo, a fine marzo 2020, a 35,8 miliardi di euro (rispetto ai 47,4 miliardi del marzo 2019), bruciando in tre mesi quasi l’intera crescita dell’ultimo quinquennio.

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Circuito Elite e aziende quotate
Ciononostante Bacco in Borsa non ha perso le sue potenzialità. Continua a esserci un interesse importante dei fondi nei confronti delle Cantine italiane. E sono ormai un bel gruppo le aziende che fanno parte del circuito Elitdi Borsa italiana, propedeutico alla quotazione o all’apertura del capitale a terzi, come Farnese vini, Guido Berlucchi, Botter, Velenosi, Argiolas, Frescobaldi, Varvaglione, Mgm Mondodelvino. All’atto pratico sono solo due le aziende vinicole italiane oggi presenti in Borsa: Masi Agricola Italian Wine Brands. Due realtà diverse tra loro, approdate al listino nel 2015.

Il percorso di Iwb

Ad aprire la strada è stata Italian Wine Brands (Iwb), azienda industriale nata dall’aggregazione di Giordano vini, specializzata nella vendita diretta a clienti privati, e Provinco Italia, focalizzata sulla grande distribuzione internazionale. Iwb, con oltre l’80% di flottante, rappresenta una vera public company quotata. Tra i suoi azionisti c’è Provinco (con una quota del 9,08%) di proprietà di Alessandro Mutinelli, anche presidente e ceo del gruppo. Tra i più grandi gruppi vinicoli privati italiani (157 milioni di fatturato a fine 2019 e 60 milioni di bottiglie, di cui l’80% vola all’estero), Iwb non ha attività agricola, ma acquista vino e uve dalle più rinomate zone viticole italiane. Vini di punta sono il Barolo, il Prosecco, i grandi rossi di Toscana, il Primitivo di Manduria. Lo scorso anno è entrata a far parte del gruppo la società svizzera Raphael Dal Bo AG, specializzata nel biologico.

Masi Agricola dal 2015

È del giugno 2015 l’approdo al listino di Masi Agricola, azienda di produzione con cuore e sede nella Valpolicella Classica. La maison veneta produce e distribuisce vini di pregio del territorio delle Venezie nel mondo ed è guidata dalla famiglia Boscaini. Tra gli azionisti c’è la Red circle investments di Renzo Rosso con una partecipazione del 5%. Masi è presente in 140 Paesi, con una quota di esportazione del 77% del fatturato (65 milioni a fine 2019).

Perché si va in Borsa

Come se la stanno cavando le uniche Cantine italiane quotate? E soprattutto cosa significa e perché l’ingresso in Borsa? «La quotazione è la strada per lavorare a libri aperti e diventare sempre più trasparenti e affidabili, sempre più al servizio del mercato», dice Federico Girotto, ceo di Masi Agricola. «Il motivo per cui si sceglie di andare in Borsa è di natura finanziaria: in pratica è quello di raccogliere capitali per finanziare lo sviluppo», aggiunge Alessandro Mutinelli, ceo di Iwb. «Un imprenditore che ha bisogno di soldi ha tre strade. O li mette di tasca sua, o li chiede in banca o si trova dei soci in Borsa».

Alessandro Mutinelli, presidente e AD di Italian Wine Brands dal 2017

Alessandro Mutinelli, presidente e AD di Italian Wine Brands dal 2017

Ma non è una passeggiata. «Per entrare in Borsa devi essere credibile e attraente», continua Mutinelli. «A un investitore interessano tre cose: il ritorno del suo investimento, vuole essere certo che i suoi soldi siano al sicuro, vuole sapere se il titolo è liquido, e cioè se trova chi acquista le sue azioni nel caso decidesse di vendere».

Rispondere a terzi

È chiaro che chi chiede denaro deve anche dimostrare di avere ottenuto buoni risultati in passato. Non a caso Masi ha iniziato a fare certificare i suoi bilanci anni prima della quotazione. Non solo. «Già a partire dal 2006 abbiamo aperto il capitale al fondo di private equity Alcedo e questo ci ha permesso di imparare a lavorare con procedure, metodi e comportamenti diversi da quelli che si possono ritrovare in una realtà posseduta interamente da una famiglia. In pratica può iniziare così l’abitudine a confrontarsi con un terzo», sottolinea Girotto. «Un imprenditore privato che guida la sua azienda può gestirla come meglio crede», dice Mutinelli. «Quando invece diventi pubblico devi pensare che l’azienda non è più la tua anche se possiedi la maggioranza del capitale ed è necessario comportarsi come si fa in una public company».

Irrobustire l’organizzazione

La quotazione si porta dietro anche una serie di adempimenti che comportano costi. Occorre una struttura organizzativa adatta. «Vuol dire irrobustire l’infrastruttura dell’azienda, cioè quella sorta di sistema nervoso che tiene insieme e coordina le singole funzioni mettendole a sistema», spiega Girotto. «E vuole anche dire avere un maggiore focus sulla competitività e una pressione sul miglioramento aziendale in un percorso che porta l’azienda a dichiarare a se stessa e a chi compra le sue azioni, in modo esplicito, quali sono le direttrici strategiche sulle quali vuole lavorare e crescere».

Federico Girotto è Chief Executive Officer di Masi Agricola e di Canevel Spumanti dal settembre 2016

Federico Girotto è Chief Executive Officer di Masi Agricola e di Canevel Spumanti dal settembre 2016

Offrire maggiore attrattiva

Uno status che determina anche la possibilità di «attrarre risorse professionali di livello, interessate a lavorare in una società quotata. E rende più agevole l’integrazione di altre realtà, favorendo progetti di crescita in uno scenario del vino italiano frammentato: essere quotati offre infatti la possibilità di facilitare certi percorsi, offrendo ad altri brand l’opportunità di entrare in una infrastruttura costituita da una società quotata, come ad esempio abbiamo fatto noi con Canevel Spumanti, un anno dopo la quotazione».

Un passo da compiere senza paura

È difficile compiere il grande passaggio da azienda familiare ad azienda quotata dall’oggi al domani. Al di là del fatto che esiste tra molti vignaioli una certa diffidenza verso il mondo della finanza e della Borsa. C’è, per esempio, il timore che la quotazione possa spersonalizzare il Dna del brand e anche che possano prevalere obiettivi di breve termine che sono in contraddizione con i tempi lunghi del vino. «Masi ha dimostrato che così non è», osserva Girotto, «e che è possibile sposare il mondo della finanza al mondo del vino. E tanti nostri importatori e partner commerciali hanno visto con favore il percorso che abbiamo compiuto. Le opportunità sono le stesse a prescindere dalla tipologia del lavoro, perché la quotazione ti porta ad essere sempre più azienda a prescindere dalle caratteristiche del tuo core business».

L’obiettivo è sempre la qualità

Dice Mutinelli: «Noi abbiamo due tipi di clienti: quelli cui vendiamo i prodotti e i nostri azionisti. Se facciamo felici i nostri clienti faremo felici anche i nostri azionisti. È la nostra missione». Questa filosofia operativa prescinde dall’oggetto sociale. «Qualche mio collega sostiene che il vino ha una storia particolare, unica, più romantica. Di sicuro vendere vino ha più fascino che vendere bulloni, ma l’investitore finanziario ti misura sui numeri e i numeri sono uguali per tutti. E noi siamo sul mercato finché si vendono i nostri prodotti. Il vino si vende se piace ai clienti: ecco perché non risparmiano nulla sulla qualità del prodotto e del servizio».

Lo shock distributivo del 2020

Mai come nel 2020 l’assetto distributivo ha condizionato il bilancio delle Cantine italiane. Che cosa è accaduto alle due realtà quotate in Borsa? Per Masi è stato un anno difficile, che ha fatto registrare una flessione del fatturato dovuta al legame strettissimo dell’azienda con il mondo Horeca e al blocco dei duty free. «L’Horeca in generale ha perso di più di quanto abbiamo perso noi grazie al nostro importante lavoro nel mondo dei monopoli, Canada e Scandinavia», dice Girotto. «Nella pandemia, ha tenuto bene la grande distribuzione anche in Italia, dove siamo entrati da un paio d’anni, allocando i vini più vocati nell’ambito della nostra gamma. È diventato decisivo realizzare un buon posizionamento in tutti i canali».

I progetti proseguono

Nel frattempo i programmi vanno avanti. «Nessun rallentamento sui nostri progetti strategici, come il Masi wine bar di Monaco di Baviera che è pronto ad aprire i battenti», continua Girotto. E nessuna frenata agli accordi distributivi avviati lo scorso anno negli Stati Uniti e in Germania, rispettivamente con Santa Margherita Usa ed Eggers & Franke. In particolare l’importatore-distributore tedesco, che presidia diversi canali, risponde alle ambizioni del gruppo veneto: «La Germania è un Paese in cui, oltre all’Horeca, anche la grande distribuzione è molto importante per volumi e visibilità. E l’assetto distributivo di Eggers & Franke ci permette di ottimizzare la politica di marca in tutti i canali: abbiamo una carta vini di oltre 50 referenze ed è importante andare nel posto giusto con il vino giusto, mantenendo una identità e un posizionamento premium».

Bene sul fronte russo e americano

Tra le note positive del 2020 ci sono i risultati conseguiti in Russia con il distributore Beluga Group e quelli del segmento on line, anche grazie al varo della wine platform, un wine club con uno scaffale virtuale dei vini e un sistema di delivery per le consegne a domicilio: «Un progetto avviato nel 2019 che ci permette di testare da un lato la distribuzione on line e dall’altro il brand». (Sul mercato Usa è stato appena formalizzato l’accordo di distribuzione per i vini a marchio Serego Alighieri con l’importatore Vineyard Brands, che vanta nel suo portafoglio i più prestigiosi Château francesi e Maison di Champagne, ndr).

Il traino della Gdo e della vendita diretta

«Un 2020 sfidante ma eccezionale per noi»; Alessandro Mutinelli presidente e ceo di Iwb non nasconde la soddisfazione per gli straordinari risultati del gruppo. Non poteva essere altrimenti, dal momento che Iwb opera nei due canali che hanno corso di più nel 2020: Gdo e vendita diretta. «In passato abbiamo fatto sforzi notevoli per potenziare le nostre capacità nella vendita diretta e quest’anno abbiamo raccolto i frutti». Non ci sono in Italia e in Europa cantine con questa expertise della dimensione di Giordano, pezzo forte della divisione direct di Iwb. Così come appare fortissima la presa di Provinco nella grande distribuzione internazionale, sulla quale si concentrano l’80% delle vendite del gruppo, prevalentemente in Europa.

Incremento dei ricavi nel primo semestre 2020

Morale: il 2020 si traduce per Iwb in un esercizio record. Il positivo trend di crescita realizzato nel primo trimestre si conferma infatti a fine anno, facendo lievitare i ricavi consolidati fino a 204,3 milioni, pari a un incremento del 29,7% sul 2019. Il vento in poppa fa volare anche il titolo. «Da gennaio 2015, momento della quotazione, al 31 dicembre 2020 la capitalizzazione è cresciuta del 134%, cui vanno aggiunti i dividendi distribuiti», precisa Mutinelli. In pratica il cosiddetto market cap (capitalizzazione azionaria) è passato dai 65,8 milioni del 2015 agli attuali 154 milioni; mentre il valore dell’azione nel corso del 2020 è cresciuto di circa il 63%.

Foto di apertura di P. Weissenberger per Unsplash

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© Riproduzione riservata – 25/01/2021

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