I conti 24 sono positivi, ma il mercato è difficile. Ecco quanto contano i giovani

I conti 2024 sono positivi: secondo l’Osservatorio Uiv-Vinitaly il mercato nazionale del vino ha chiuso l’annata con un fatturato di 14,5 miliardi di euro e un export di 8,1 miliardi, in aumento rispetto al 2023. Risultati ottenuti però a fatica: l’ultimo anno è stato difficile, con i vignaioli italiani che hanno sudato il doppio per ottenere meno. E il 2025 non si presenta più facile di fronte alle problematiche più varie: dai concreti timori per i dazi minacciati dalla nuova amministrazione americana alle perduranti incertezze legate alle crisi geopolitiche, alla minore capacità di spesa delle famiglie causata dall’inflazione.

«Inutile negare una congiuntura complessa, influenzata da chiusure commerciali che potrebbero condizionare il mercato statunitense ma non solo: l’effetto delle barriere potrebbe infatti causare ripercussioni significative sull’economia globale e quindi sui consumi», afferma Adolfo Rebughini, direttore generale Veronafiere, mamma del Vinitaly alle porte. «I dazi rappresentano l’esatto contrario del fare fiera, ciò che noi con Vinitaly possiamo fare è reagire alimentando il business e contribuire ad allargare la geografia commerciale dell’export enologico, pur nella consapevolezza che gli Stati Uniti sono un buyer insostituibile, non solo perché rappresenta un quarto delle nostre spedizioni di vino nel mondo, ma anche per le prospettive incrementali che esso offre. Confidiamo nella diplomazia europea e italiana per tornare a ragionare in termini di competitività e di crescita».

In ogni caso, quando il gioco si fa duro i duri iniziano a giocare e le aziende vitivinicole nazionali hanno largamente dimostrato di avere nervi saldi e incrollabile ottimismo. «Un agricoltore, soprattutto un produttore di vino, è ottimista per definizione. Altrimenti farebbe un altro mestiere» chiosa Silvano Brescianini, alla guida della Barone Pizzini, oltre che presidente del Consorzio Franciacorta. Dunque avanti tutta, cercando di contrastare la bestia nera del mercato: l’inarrestabile calo dei consumi.

Ecco: di chi è la colpa se si vende meno vino? E’ vero, come si sente dire in giro, che è colpa dei giovani? E’ vero che i consumatori tra i 18 e i 44 anni, quelli delle generazioni Z e Millennials, non hanno interesse al vino, lo considerano roba da vecchi e non hanno voglia di spendere? La verità è un’altra.

Stando all’analisi dell’Osservatorio realizzata sulla base dei dati IWSR relativi alle abitudini di consumo di vino in Italia e Stati Uniti (ovvero i  due mercati strategici per il vino italiano, pari a oltre il 60% del fatturato dell’industria nazionale), le differenze tra under e over 44 sono minime.

Se il segno sui consumi a livello globale è negativo, le responsabilità sono da attribuirsi in parti uguali tra le generazioni. Anzi, su alcune tipologie di vino, come per esempio i rossi  che sono quelli che più hanno segnato il passo, sono le generazioni più mature ad aver fatto marcia indietro. Non solo: in Italia e in Usa chi ha diminuito i consumi è per il 30% over 44, mentre chi dichiara di averli aumentati è prevalentemente giovane: 31% in USA (contro 9% dei più grandi), 14% in Italia (contro il 7%).

L’indagine dell’Osservatorio entra in diversi dettagli utili. Restando più sulle generali e guardando in particolare all’Italia si può notare, tra l’altro, che i giovani rappresentano la metà dei consumatori che scelgono vini a più alto valore aggiunto. In Usa,  dove i vini ultra premium rappresentano il 31% del totale delle vendite a valore (in Italia solo il 10%), i giovani pesano addirittura per il 60%.

Non solo. I 2/3 dei giovani statunitensi e il 41% degli italiani ha dichiarato di aver puntato volontariamente su vini più costosi,  cambiando facilmente vino e brand. Perché lo fanno? Per sperimentare, per il gusto di cambiare, per scegliere il vino più di moda: in Italia il 56% dei giovanissimi considera il vino status symbol, contro il 28% dei boomer. Una tendenza che ha spinto IWSR a coniare una nuova categoria, quella degli Status seekers che negli Stati Uniti realizzano il 24% del volume e il 35% dei valori generati dai consumatori abituali di vino, pur pesando su questa categoria per non più dell’11% .

Insomma i giovani amano il vino più di quanto non si immagini e il tema salutismo-dieta li coinvolge al pari delle persone mature.

Ovviamente, ci sono anche differenze tra giovani americani e italiani e in alcuni casi sono profonde. Il caso scuola per l’Osservatorio è quello dei cocktail considerato un collante generazionale molto più del vino, con l’87% degli italiani e l’88% degli americani under 44 che ne dichiarano il consumo, a fronte di un 62% di americani e 84% di italiani che preferiscono bere vino.

Anna Di Martino

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