
https://www.corriere.it/economia/life/vini-dealcolati/
Quanto vale questo nuovo mercato
Chi è già pronto e chi si prepara
«Un decreto dovuto», il mercato vitivinicolo ha accolto così, lo scorso 23 dicembre, il via libera alla produzione di vini senza alcol in Italia. Data storica per la filiera nazionale del vino che può ora operare con le stesse regole in vigore già da 3 anni sul mercato europeo. «E’ ora di recuperare lo svantaggio nei confronti della concorrenza», sostengono le aziende, specie le più grandi, che da tempo mordevano il freno. «Siamo attente al tema e studiamo il da farsi», affermano le cantine che non hanno ancora prodotti pronti. «La cosa non ci interessa», taglia corto una larga fetta di vignaioli, soprattutto piccoli e medi.
Ma il dado è tratto. E rompe un grosso tabù nel paese leader al mondo per la produzione di vino dove, fino a oggi, non si poteva chiamare vino una bevanda che avesse un tenore alcolico inferiore a 8,5 gradi.
«E’ possibile» dispone il neonato decreto «ridurre parzialmente o totalmente il tenore alcolico dei vini, dei vini spumanti, dei vini spumanti di qualità, dei vini spumanti di qualità di tipo aromatico, dei vini spumanti gassificati, dei vini frizzanti e dei vini frizzanti gassificati».
Resta il divieto assoluto, e nulla quindi cambierà, per tutti i vini a denominazione protetta, Dop e Igp, che rappresentano la spina dorsale, distintiva e di maggior valore, del vigneto Italia e che hanno fatto volare il made in Italy enologico su tutte le piazze internazionali.
Dealcolazione libera, invece, per le tipologie di vini da tavola. Più precisamente potrà essere classificato come dealcolato un vino che abbia un titolo alcolometrico non superiore a 0,5% e potrà essere parzialmente dealcolato un vino con alcol superiore a 0,5% ma inferiore al minimo della categoria precedente alla dealcolazione, normalmente compreso tra 8,5%- 9%.
Ma cos’è questa voglia di realizzare vini senza alcol o a basso contenuto di alcol? Una nuova moda? O i cosiddetti vini Nolo (no e low alcol) rispondono a precise e crescenti richieste di mercato?
I numeri
«In Italia il 36% dei consumatori è interessato a consumare bevande dealcolate; negli Stati Uniti, incubatore di tendenze specie tra i giovani, il mercato Nolo vale già un miliardo di dollari», ha precisato Paolo Castelletti, segretario generale di Unione italiana vini, l’organismo di categoria convinto che l’introduzione di queste nuove categorie di prodotto possa offrire al settore opportunità di business, aprendo a nuovi mercati e target di consumatori complementari alla domanda di vini convenzionali. «E’ un’opportunità varata da tempo in Europa e siamo quindi favorevoli», sottolinea Lamberto Frescobaldi, presidente Uiv, ponendo però una condizione: «L’importante è che il prodotto dealcolato sia realizzato all’interno della filiera del vino e sia possibile tracciarlo».
Nel suo complesso, il segmento delle bevande no-low alcol , che comprende anche i vini dealcolati, è in forte crescita a livello mondiale. Secondo i dati Iwsr, istituto londinese specializzato in analisi del mercato beverage, nei dieci principali mercati globali (Australia, Brasile, Canada, Francia, Germania, Giappone, Spagna, Sudafrica, Regno Unito e Stati Uniti) si prevede una crescita annua del 4% in volume entro il 2028. Anno in cui il giro d’affari delle bevande analcoliche è destinato ad aumentare di oltre 4 miliardi di dollari. Questo segmento, tra il 2020 e il 2022, ha attirato 61 milioni di nuovi consumatori, superando i 38 milioni registrati dai prodotti a basso contenuto alcolico.
Se poi si punta il riflettore sul solo mercato italiano, un’indagine realizzata da Swg per Vinitaly, rivela che questi prodotti interessano un potenziale di 1 milione di non bevitori di alcolici, oltre a una platea di consumatori di vino o altre bevande (14 milioni) che li ritiene un’ alternativa di consumo in situazioni specifiche, come per esempio mettersi alla guida. Sempre secondo Swg, la quota di attenzione verso i vini dealcolati (21%) è più alta nelle fasce più giovani (28% da 18 a 34 anni che è anche il target a maggior contrazione dei consumi di vino tradizionale ), che nel 79% dei casi dichiara importante o fondamentale poter ridurre i problemi legati all’abuso di alcol, con l’offerta di prodotti a zero o bassa gradazione.
Giovani, ma non solo. In pratica, da quest’anno, donne incinte, sportivi di professione, autisti e conducenti di mezzi pubblici, astemi anche per motivi religiosi e automobilisti (preoccupati dalle norme più stringenti del codice della strada) potranno bere un vino dealcolato italiano prodotto in casa e non più all’estero come è avvenuto finora.
Chi è già in pista
Da Argea a Doppio Passo, da Hofstatter a Schenk, da Varvaglione a Zonin sono solo alcune delle aziende che hanno già prodotto vini dealcolati appoggiandosi a terzisti oltre frontiera. O, nel caso di Mionetto, presso la propria casamadre tedesca Henkel che lo scorso anno ha fornito alla controllata ben 4 milioni di bottiglie tutte vendute.
«Fin qui abbiamo realizzato i nostri dealcolati in Germania. Ora potremo recuperare il ritardo accumulato nei confronti di Francia e Spagna dove, tra l’altro, si possono dealcolare anche vini Igt», fa notare Massimo Romani, ceo di Argea, il maggiore gruppo vitivinicolo privato italiano che ha già portato sul mercato ben otto etichette di vini no-alcol provenienti dalle cinque regioni in cui opera il gruppo, Sicilia, Veneto, Emilia Romagna, Piemonte fino all’Abruzzo con le due proposte di Tralcetto Zaccagnini che già vantano medaglie in concorsi internazionali dedicati a questa tipologia di prodotti. «Se consideriamo che, secondo uno studio recente, solo in Europa il no alcool, tra vino e birra, passerà da 9,4 miliardi di dollari del 2023 a 16,8 miliardi nel 2032, appare chiaro come la nostra proposta rappresenti una scommessa che va oltre il business», dice Romani «Siamo infatti convinti che la strategia del no-low alcol sia in grado di offrire a tanti territori viticoli del nostro paese una prospettiva di mercato interessante e complementare che incontra il favore crescente dei consumatori di tutto il mondo».
Ha diverse dimensioni, ma non meno ambizioni, la cantina pugliese Varvaglione 1921 che ha già in portafoglio uno Sparkling e uno Sprizt zero alcol. «Di fatto ci stiamo posizionando su un mercato cui ancora non tutti credono e stiamo conquistando un nostro spazio», dice Marzia Varvaglione, sottolineando come il consumo di alcol stia calando ovunque e anche tra i soci Agivi, l’Associazione tra i giovani imprenditori vinicoli italiani di cui è presidente, è diffusa la convinzione che questa tipologia di vini alcol free possa rappresentare l’aggancio a nuovi consumatori o anche la scelta di quanti, per varie ragioni, non possano in alcune circostanze bere alcol.
Cavalca l’onda anche l’Italian wine brands, big player privato, quotato in Borsa: «Abbiamo impiegato 2 anni per mettere a fuoco i prodotti giusti, utilizzando tutte le tecnologie disponibili, perché non eravamo mai soddisfatti del risultato ottenuto», racconta il presidente e ad Alessandro Mutinelli. «A questo punto abbiamo trovato la quadra, i prodotti (una bollicina, un bianco e un rosso, ndr) sono piacevoli e a breve saremo al pubblico». E’ il mercato che comanda: «I numeri sono in crescita come dimostrano i risultati dei nostri competitor internazionali», dice ancora Mutinelli. «Il settore dei dealcolati in Germania è composto per la quota maggiore di spumanti e già rappresenta il 7% del mercato».
E’ operativo già da due anni il gruppo Zonin 1821 con due prodotti: il Limoneto Spritz e la bollicina Cuvee Zero alcol . «In questi due anni abbiamo investito per bilanciare sempre più il gusto di questi prodotti che rappresentano una nuova opportunità di business complementare ai vini tradizionali», afferma Pietro Mattioni ceo del gruppo.« Le ricerche sul tema suggeriscono che il trend di consumo dei dealcolati crescerà nei prossimi anni, anche se rimarrà ancora marginale rispetto ai vini tradizionali. Noi produttori dobbiamo essere capaci di comunicare queste innovazioni come un’interpretazione moderna della millenaria cultura vitivinicola, che continua a evolversi e arricchirsi per rispondere alle esigenze di un consumatore che non ha paura di sperimentare».
Grande sostenitore dello zero alcol è Sandro Bottega alla testa dell’omonimo gruppo veneto che già opera su questa tipologia di prodotti da 3 anni. «A questo punto abbiamo finalmente la possibilità di creare in casa vini fermi dealcolati e grazie alla creatività e capacità italiana sono convinto che sapremo realizzare prodotti di livello», assicura l’imprenditore veneto, pronto a investire su questo nuovo fronte operativo. Nel frattempo ha già lanciato sul mercato due tipi di bollicine zero alcol, bianche e rosa, battezzate soft drink, prodotte con mosto d’uva: 375 mila bottiglie, che richiedono a monte grande capacità tecnologica, esportate in 73 paesi tra i quali quelli di fede musulmana. Iniziativa di successo cui fanno compagnia un Amaro e un Limoncino zero alcol.
Chi punta ( per ora) sul bicchiere più leggero
Insomma il tema è caldissimo e tutti i maggiori imprenditori sono sul pezzo. «Il via libera alla dealcolazione era necessario, perché l’Italia rischiava di restare indietro», commenta Matteo Lunelli, alla testa della realtà trentina che porta il nome della sua famiglia e comprende due brand di pregio della spumantistica nazionale, come Ferrari e Bisol. «Purtroppo non abbiamo ancora una tecnologia capace di creare un Ferrari senza alcol degno di questo nome», afferma Lunelli. «Per questo trovo molto giusto che vini Dop e Igp restino fuori da questi processi. Ma il sistema vitivinicolo italiano ha tutti i numeri per creare tecnologie che permettano di creare vini all’altezza del loro nome». Nel frattempo il team aziendale che si occupa di innovazione ha già abbassato il grado alcolico di un’etichetta Bisol: l’edizione i Gondolieri del Prosecco superiore si ferma a 10 gradi, il minimo ammesso dalla denominazione».
Il percorso di qualità verso un bicchiere più leggero coinvolge altri operatori. «Siamo convinti che sia importante alleggerire il grado alcolico del vino nel rispetto del disciplinare di quella tipologia», dice Sergio Dagnino ceo di Prosit tra i gruppi più dinamici del mercato. «E’ una strada che abbiamo già imboccato, che comporta un lavoro impegnativo in cantina perché il vino possa conservare struttura e profumi nonostante il grado più basso, e la risposta è interessante. Ma stiamo studiando anche il tema dei vini no alcol che al momento non hanno un gusto che può piacere a tutti e quello delle bevande vinose: in pratica sono questi i tre nuovi fronti operativi del mercato».
C’è comunque chi parte avvantaggiato, come i produttori piemontesi del Moscato d’Asti, vino di pochi gradi per natura, che hanno registrato lo scorso anno un incremento delle vendite a doppia cifra.
«Nonostante le incertezze dei mercati, questi risultati dimostrano che il trend di consumo è sempre più orientato verso prodotti alcolici a bassa gradazione », dice Stefano Ricagno, presidente del Consorzio Asti Docg. Moscato d’Asti e anche Asti Spumante sono naturalmente low alcol, e quindi tradizionali ma moderni allo stesso tempo, in grado di intercettare nuove tendenze».
La dealcolazione dei vini, potrebbe risultare utile anche ad altro: «Potrebbe essere una valida alternativa a meccanismi di intervento sul mercato, come la distillazione di crisi, per risolvere problemi di giacenze eccessive», è il parere di Francesco Mazzei, presidente Consorzio tutela vini della Maremma Toscana, che ritiene comunque positiva l’esclusione dal tema dealcolati dei vini Dop e Igp.
Le coop si preparano
Grande attenzione anche dal fronte della cooperazione che rappresenta più del 50% del vino prodotto in Italia.
«Siamo convinti che i vini dealcolati e parzialmente dealcolati siano un’opportunità da cogliere, soprattutto nei mercati esteri, in particolare in aree dove per motivi religiosi non si assume l’alcol », afferma Luca Rigotti, presidente settore vino di Confcooperative Fedagripesca. «Non vedo problemi di una possibile concorrenza dei vini Nolo verso i vini tradizionali, poiché il target di consumatori a cui si rivolgono è diverso. I Nolo di fatto sono una risposta a nuove tendenze di consumo e possono far avvicinare al mondo del vino una platea di nuovi consumatori».
Al momento nessuna coop ha già in portafoglio questi nuovi vini, ma è solo questione di tempo.
«Non abbiamo ancora prodotti, ma siamo molto interessati, tenendo conto che il tema low calories è un trend mondiale in forte crescita», conferma Giampaolo Bassetti, direttore generale di Caviro, gigante romagnolo della cooperazione. «Secondo specifiche analisi, il mercato del no e low alcol vale 2,5 milioni di ettolitri, vale a dire l’1,5% della produzione mondiale di vino pari a 220 milioni di ettolitri. Non è tanto, ma non è nemmeno poco e soprattutto si tratta di un settore che si incrementa molto in fretta».
«I grandi player internazionali sono già attivi su questo fronte in modo importante» sostiene ancora Bassetti. «Non possiamo restare fuori da questo trend. Siamo una cooperativa di secondo grado e dobbiamo impegnarci anche per garantire ai nostri viticoltori il corretto livello di profitto».
Scalda i motori anche Collis Veneto wine group. «Al momento si lavora su test di laboratorio alla ricerca della massima qualità e si valutano investimenti in tecnologia», afferma l’ad Pierluigi Guarise. « Il brand di riferimento sarà quello di Riondo, riconosciuto non solo in Italia come marchio di bollicine contemporanee».
Una nuova macchina alza la qualità
Si chiama Libero wine ed è una macchina di ultima generazione per la produzione di vini dealcolati. Prodotta da Omnia Technologies (proprietà di Investindustrial di Andrea Bonomi), società leader per le tecnologie di automazione e imbottigliamento nei settori delle bevande non alcoliche, dei distillati, del vino, dei prodotti lattiero-caseari e del farmaceutico, è stata premiata in occasione del Simei, evento milanese promosso da Unione italiana vini, numero uno al mondo per macchine al servizio di enologia e bevande, riscuotendo l’interesse di tutti i vignaioli, anche stranieri che riconoscono all’Italia la leadership nelle tecnologie del vino.
Non solo. C’è chi sostiene che proprio la qualità del prodotto realizzato con questa nuova macchina abbia convinto i più scettici, dando una spinta decisiva al via libera anche in Italia alla produzione di vino dealcolato. Verità o fantasia, ciò che distingue Libero da tutti gli altri macchinari usati per dealcolare è la coesistenza nello stesso impianto delle due pratiche usate fin qui separatamente: menbrana e distillazione. Senza entrare in questioni tecniche, questo impianto permette in pratica una lavorazione in due fasi: nella prima si estraggono acqua e alcol dal vino, a bassa temperatura, preservando tutte le componenti aromatiche; nella seconda si procede alla distillazione sotto vuoto, riportando l’acqua nel serbatoio di partenza e facendo evaporare l’alcol.
Anna Di Martino