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Le 27 cantine del club over 100 milioni (anticipazione della classifica 2024 con alcuni dati delle aziende con più di 100 milioni di fatturato)

Scarica gli articoli del Corriere della Sera

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Rappresentano da sole il 41% del fatturato 2024 del mercato vitivinicolo italiano, pari a 14,5 miliardi e il 47,5% del totale export (8,1 miliardi). Chi sono? Le magnifiche 27 del club over 100 milioni. Ovvero le aziende che hanno chiuso l’ultimo esercizio con più di 100 milioni di incassi e figurano al vertice della classifica delle oltre 100 cantine più grandi d’Italia (che L’Economia pubblicherà nei prossimi mesi). Più di 6 miliardi di fatturato totale, 3,8 miliardi di esportazioni, 2,2 milioni di bottiglie: sono questi i dati 2024 del club over 100 milioni, che conta  27 soci. C’è una new entry: è la Cantina di Conegliano Vittorio Veneto Casarsa, la maggiore cooperativa di primo grado nelle aree di produzione del Prosecco, frutto del matrimonio con la Viticoltori friulani La Delizia celebrato lo scorso anno. Più di 5.600 ettari di vigneti, 1.516 soci, 149,8 milioni di fatturato, la neonata supercoop presieduta da Stefano Zanette, è presente a quota 19 di questa graduatoria dei big. E c’è anche un’uscita: lascia il club la Contri Spumanti, casa spumantistica controllata dalla Hyle Capital Partners, scesa sotto i 100 milioni di fatturato (95,6 milioni). Una prova in più della difficile annata vissuta dal mercato vinicolo. Basti pensare che anche in questa rosa dei più grandi, sono nove le aziende con il segno meno davanti al fatturato: 5 realtà private, Iwb, Herita Marzotto wines estates, Gruppo Lunelli, Schenk italian wineries e gruppo Ruffino. E 4 cooperative: Caviro, Cavit, Mezzacorona e Cadis 1898. Altri cinque brand hanno chiuso i conti con un sostanziale pareggio: le coop Cantine Riunite e Vignaioli veneti friulani e le private Fratelli Martini, Marchesi Frescobaldi e Villa Sandi. Infine in13 vantano il segno più. (altro…)

Le cooperative pesano di più ( anticipazione della classifica 2024 che riguarda alcuni dati delle maggiori coop)

Aumenta il peso delle coop nel club over 100 milioni: in 12  (una più dello scorso anno), rappresentano oltre un terzo del giro d’affari complessivo dei 27 big.

Sono lo stato maggiore della cooperazione vinicola nazionale e insieme rispondono di un di fatturato di 2,9 miliardi, 1,5 miliardi di export e 1,3 milioni di bottiglie.

Dopo Riunite, Caviro e la new entry Conegliano, partiamo dal sesto e settimo posto con Cavit (253,3 milioni) e La Marca vini e spumanti (251milioni). In buona forma, il consorzio trentino guidato da Enrico Zanoni registra una flessione del fatturato (-5,8%) dovuta alla cessione delle attività non strategiche dell’ex controllata Casa Girelli ora fusa nella capogruppo. Mentre torna a correre sull’onda del Prosecco, suo cuore operativo, La Marca presieduta da Claudio Venturin (+11,56).

Al decimo posto c’è Collis Veneto wine group,  titolare di un fatturato di 219,3 milioni (+4,3%).Dopo la trasformazione in coop di primo grado, la realtà veneta guidata da ceo Pierluigi Guarise punta ad ampliare la presenza estera, mentre in Italia ha lanciato la catena monomarca Cantina Veneta che conta già 36 negozi per un giro d’affari di 12,6 milioni.

Presieduta da Luca Rigotti, segue Mezzacorona con 212,4 milioni. Coop trentina di primo grado è molto forte all’export: più dell’88% del suo fatturato passa la frontiera.

Al tredicesimo posto, Terre Cevico ha raggiunto i 206,2 milioni (+4,8%). La realtà romagnola presieduta da Franco Donati presenta il suo primo consolidato da coop di primo grado. Segno più (4%) per Vi.V.O cantine, tra le maggiori realtà del Veneto orientale titolare di un fatturato di 178,2 milioni. Presieduta da Franco Passador, la coop ricerca nuovi mercati di sbocco e punta sull’ innovazione.

Sale a quota 20 la siciliana Cantine Ermes presieduta da Rosario Di Maria: 142,7 milioni di fatturato (+3,17%). Tra le coop di 1° grado, Ermes, con 13646 ettari di vigneto, è la più grande per superfici vitate ed è anche l’unica multiregionale, con presenze in Sicilia, Veneto, Puglia, Abruzzo, Emilia Romagna e Lombardia.

Flette dell’8% il fatturato dell’ultracentenaria cooperativa veneta Cadis 1898 guidata da Alberto Marchisio oggi a quota 24 con 129,1 milioni.

Chiude al 25mo posto, la Vignaioli Veneto Friulani presieduta da Stefano Berlese, anche socia di La Marca: 109,5 milioni di fatturato, risultato in linea con lo scorso esercizio.

Anna Di Martino

Dazi 20%: Denis Pantini (Nomisma) fa i conti

Tanto tuono che piovve. Nella notte italiana di mercoledì 2 giugno, il presidente Usa, Donald Trump, ha dunque deciso un dazio del 20% sui vini europei. Cosa significa in pratica?

Fin qui, il dazio pagato alla frontiera Usa è stato pari allo 0,0578 euro al litro sui vini fermi imbottigliati, e allo 0,1817 euro al litro sugli spumanti. Considerando i prezzi medi dei vini italiani alla frontiera americana, vuol dire lo 0,9% in più sui fermi e il 3,5% in più  per gli spumanti sul prezzo all’importazione. E ora? (altro…)

Terzo Rapporto Wine Monitor Nomisma per Unicredit: le regioni più competitive

Terra straordinaria, tra i Paesi più vocati al mondo nella coltivazione della vita, l’Italia vanta una tavolozza di vitigni e di vini che non ha uguali. Un patrimonio che ogni regione cura come un figliolo, esaltandone le caratteristiche, con risultati significativi. In alcune zone più che altrove. In occasione del Vinitaly 2025, una importante ricerca mette a fuoco la competitività delle regioni del vino: è il terzo rapporto realizzato da Wine monitor Nomisma per conto di UniCredit. L’indagine si concentra quest’anno sull’export, vale a dire su una delle voci più importanti nel bilancio del mercato vitivinicolo nazionale, per non dire decisiva nei conti di tutte le maggiori cantine del Vigneto Italia.

Ebbene, dopo la battuta di arresto dello scorso anno, il mercato vitivinicolo 2024 ha chiuso con un export di 8,1 miliardi pari a una crescita del 6% trainata in modo particolare dagli spumanti che continuano ad affermarsi a tutte le latitudini, fino a pesare per il 30% sulle esportazioni totali del settore. Uber alles nella batteria delle bollicine è ancora una volta, e sempre di più, il Prosecco che rappresenta da solo il 22% di tutto l’export vinicolo italiano. Ed è proprio grazie al Prosecco che il Veneto si consolida come la prima regione esportatrice, rappresentando da sola circa 3 miliardi di euro, pari a un incremento del 7,3% sul 2023.

Oltre all’allungo dell’export veneto, una grossa novità nella classifica 2024 delle principali regioni esportatrici, è il sorpasso della Toscana ai danni del Piemonte. Entrambe queste importanti regioni, culla di vini tra i più famosi e pregiati al mondo, nel 2023 avevano registrato un decremento delle esportazioni: nel 2024 la Toscana ha però ricominciato a correre ed ha messo a segno una crescita del 9% , mentre il Piemonte ha continuato a muoversi al rallentatore, portando a casa un misero +0,1%.

Dinamici e competitivi

«La fotografia della filiera vitivinicola italiana che emerge dalla ricerca Nomisma è quella di una realtà dinamica e competitiva, con esportazioni in crescita. Un’immagine coerente con il supporto di UniCredit alle aziende del settore, in aumento dell’11% nel 2024, con oltre 220 milioni di nuovi finanziamenti — sottolinea Remo Taricani, deputy head of Italy di UniCredit, tra i gruppi bancari più attivi su questo fronte —. Nonostante il nuovo scenario di incertezza regolamentare e di tensione commerciale a livello globale, siamo certi che la nostra banca possa continuare a ricoprire un ruolo di primaria importanza per le imprese, aiutandole a portare avanti efficaci strategie di diversificazione dei mercati di sbocco».

Ma quali sono i vini Dop regionali più gettonati dai mercati esteri? La palma dei più richiesti spetta ai rossi fermi toscani che hanno registrato una crescita del 12% sul 2023. Al secondo posto si piazza il Prosecco (+11%), seguito dai bianchi fermi del Veneto e da quelli della Sicilia, che hanno portato a casa entrambi un incremento del 9%.

Segno negativo invece per Asti spumante e per tutti gli altri spumanti Dop. Questi ultimi per la verità sono più venduti sul mercato domestico, ma hanno comunque risentito della relativa capacità di spesa dei consumatori e del rallentamento economico che ha interessato soprattutto i mercati europei, a cominciare dalla Svizzera. Basti pensare, d’altra parte, che nel 2024 anche l’export di Champagne è crollato dell’8%.

Tra i principali mercati di sbocco del vino italiano, si fa notare il rimbalzo dell’11% messo a segno lo scorso anno dagli Usa, dopo il calo del 2023, anche se va detto che questa crescita è in parte drogata dall’accumulo di scorte accelerato dagli importatori negli ultimi mesi dell’anno, di fronte al timore di nuovi dazi annunciati dalla nuova amministrazione Trump. «Il minacciato dazio del 200% rappresentava una vera «messa al bando — afferma Denis Pantini, head of Agrifood  wine monitor —. Lo dimostra quanto accaduto ai vini australiani in Cina quando dal 2021 al 2024 hanno subito un analogo trattamento (218% di dazi) a causa di una “ripicca” politica da parte di Xi Jinping nei confronti del governo di Canberra».

Ma le prospettive non sono buone anche di fronte ai dazi del 20% appena decisi: è indubbio che una «gabella» simile genera una sorta di barriera all’ingresso i cui effetti risultano più pesanti per quei vini italiani che hanno negli Usa uno dei principali mercati di sbocco. Tra questi, i bianchi Dop del Trentino Alto Adige e Friuli Venezia Giulia, per i quali gli Usa pesano per il 48% del valore del proprio export, i rossi Dop della Toscana (40%), quelli del Piemonte (31%), così come per i bianchi Dop di Toscana e Veneto (29%).

A proposito di Stati Uniti, la novità principale del Rapporto Nomisma Wine Monitor-UniCredit riguarda un’indagine su quasi duemila consumatori americani di vino (residenti negli stati federali di California, New York e Florida) finalizzata a comprendere il posizionamento e il percepito delle regioni vinicole italiane e delle principali denominazioni presso tali consumatori. Tra le tante indicazioni emerse da questa particolare analisi del Report Wine Monitor 2025 che sarà presentato al Vinitaly domani (alle  11, presso lo stand di Confagricoltura), è emerso come siano 7 su 10 i consumatori statunitensi che nel corso dell’ultimo anno hanno scelto di comprare un vino italiano, confermando il forte apprezzamento per i prodotti del Belpaese, con Toscana, Sicilia e Piemonte in vetta alla classifica delle regioni produttrici dei vini giudicati di maggiore qualità.

Tra i  più apprezzati spiccano Prosecco, Pinot Grigio e Chianti: nel percepito degli intervistati, le singole denominazioni italiane vengono associate a valori differenti, ma a fare da denominatore comune è il richiamo all’italianità e alla tradizione. Non a caso, è proprio la tradizione del vino italiano il principale motivo che spinge gli statunitensi a consumarlo, seguito dalla varietà e ricchezza dei vitigni autoctoni.

Consumi e prospettive del mercato Italia

Nel 2028 cresceranno le vendite  dei vini più costosi

Sorpresa: nei prossimi 3 anni gli unici vini di cui aumenteranno i consumi saranno quelli più costosi. In sostanza, da qui al 2028 le vendite dei cosiddetti vini premium, e cioè quelli che costano tra i 10 e i 20 euro allo scaffale, registreranno  una crescita media annua dello 0,2% sia in volume che in valore. E faranno ancora meglio i vini superpremium, quelli con prezzi da 20 euro in sù, per i quali sono attesi incrementi del 2,8% in volume e del 3,4% in valore. Attualmente le fasce di vini con prezzi medio-alti (raccolti nelle categorie premium e superpremium) valgono al consumo 5,6 miliardi di euro e il trend dei prossimi tre anni lascia prevedere un incremento di valore dell’intero segmento del 4,1%, grazie anche a un balzo a doppia cifre delle categorie superiori alla premium (la fascia dei superpremium comprende anche linee prestige e prestige plus).

E’ uno dei risultati più significativi che emergono dall’indagine sui consumi di vino in Italia realizzata dall’Osservatorio Uiv-Vinitaly. L’inedita analisi è ricca di informazioni importanti. Emerge per esempio con chiarezza la perdita di terreno sempre più consistente dei vini a basso prezzo (low price, value e standard) che valgono oggi al consumo 7,5 miliardi e per i quali è  previsto un decremento complessivo del 9,4% da qui al 2028.  In questo arco di tempo, caleranno infatti  mediamente di circa il  4% l’anno (sia in termini di quantità che di valore) le bottiglie che costano meno di 3 euro al litro. In caduta libera anche quelle da 3 a 6 euro (la flessione stimata è maggiore del 2% in volume e valore), e non se la caveranno meglio i vini dai 6 ai 10 euro ( fascia di prezzo considerata standard) per i quali sono attesi decrementi vicini al 2%.

Al momento le due tipologie di vini in crescita, premium e superpremium, rappresentano solo  il 14% sui volumi venduti, ma pesano per il 42% in termini di valore.  Dividendo i consumatori per età, è interessante notare che le persone più  avanti negli anni (gli over 44 anni) incidono per il 75% sugli acquisti dei vini a basso prezzo, mentre se ci si sposta tra le bottiglie più costose sale il peso dei consumatori under 44 anni: questi si aggiudicano il 47% dei vini premium e quasi la metà (49%) dei vini superpremium.

Più in generale l’Osservatorio prevede un decremento dei consumi di vino in Italia del 3,6% per un totale vendite di 12,7 miliardi nel 2028: un risultato che sarebbe stato più pesante (meno 10%) senza il beneficio del buon andamento dei vini di fascia alta.

Sebbene in calo (-2.4% in volume nel 2024 e -1% in valore), il vino in Italia continua comunque a essere il motore dell’economia agroindustriale e soprattutto la bevanda nazionale, con un indice di penetrazione presso la popolazione (totale dei consumatori di alcolici) che arriva a sfiorare il 90%. Ma cosa si bene?

Secondo i dati dell’Osservatorio, su base IWSR, nel 2024 sono stati consumati in Italia 23.1 milioni di ettolitri di vino: l’84% è costituito da vini fermi  e il 15% da spumanti che pesano però per il 23% in termini di valore (le vendite di bollicine hanno raggiunto i 3 miliardi). Dominata dal Prosecco, la categoria degli sparkling, ha visto crescere negli ultimi anni anche gli spumanti metodo Charmat, prodotti in tutte le regioni, ben presenti nel circuito dei discount: nel 2024 ne sono stati venduti 367.000 ettolitri, con una crescita media annua quadriennale del 7.5%, contro il 6% del Prosecco.

Di tutt’altro genere l’andamento dei vini fermi, che nel 2024 hanno accusato un calo delle vendite del 3% a volume e dell’1,6% a valore, per un incasso complessivo di  10 miliardi di euro. In prospettiva peserà il crollo dei vini rossi (-4% annuo), mentre i vini bianchi terranno il passo con consumi quasi in linea rispetto a 5 anni fa (-1.3% nel periodo 2024/19), per un risultato finale della categoria pari a un decremento del 2.5%.

Morale: se il valore complessivo dei consumi di vino in Italia registrerà una flessione annua contenuta, pari all’1%  da qui al 2028 (per un controvalore finale di 12.7 miliardi di euro) sarà solo merito delle bollicine, per le quali si prevedono  incrementi medi annui dell’1.2% in grado di compensare il decremento dei vini fermi.

Anna Di Martino

I conti 24 sono positivi, ma il mercato è difficile. Ecco quanto contano i giovani

I conti 2024 sono positivi: secondo l’Osservatorio Uiv-Vinitaly il mercato nazionale del vino ha chiuso l’annata con un fatturato di 14,5 miliardi di euro e un export di 8,1 miliardi, in aumento rispetto al 2023. Risultati ottenuti però a fatica: l’ultimo anno è stato difficile, con i vignaioli italiani che hanno sudato il doppio per ottenere meno. E il 2025 non si presenta più facile di fronte alle problematiche più varie: dai concreti timori per i dazi minacciati dalla nuova amministrazione americana alle perduranti incertezze legate alle crisi geopolitiche, alla minore capacità di spesa delle famiglie causata dall’inflazione.

«Inutile negare una congiuntura complessa, influenzata da chiusure commerciali che potrebbero condizionare il mercato statunitense ma non solo: l’effetto delle barriere potrebbe infatti causare ripercussioni significative sull’economia globale e quindi sui consumi», afferma Adolfo Rebughini, direttore generale Veronafiere, mamma del Vinitaly alle porte. «I dazi rappresentano l’esatto contrario del fare fiera, ciò che noi con Vinitaly possiamo fare è reagire alimentando il business e contribuire ad allargare la geografia commerciale dell’export enologico, pur nella consapevolezza che gli Stati Uniti sono un buyer insostituibile, non solo perché rappresenta un quarto delle nostre spedizioni di vino nel mondo, ma anche per le prospettive incrementali che esso offre. Confidiamo nella diplomazia europea e italiana per tornare a ragionare in termini di competitività e di crescita».

In ogni caso, quando il gioco si fa duro i duri iniziano a giocare e le aziende vitivinicole nazionali hanno largamente dimostrato di avere nervi saldi e incrollabile ottimismo. «Un agricoltore, soprattutto un produttore di vino, è ottimista per definizione. Altrimenti farebbe un altro mestiere» chiosa Silvano Brescianini, alla guida della Barone Pizzini, oltre che presidente del Consorzio Franciacorta. Dunque avanti tutta, cercando di contrastare la bestia nera del mercato: l’inarrestabile calo dei consumi.

Ecco: di chi è la colpa se si vende meno vino? E’ vero, come si sente dire in giro, che è colpa dei giovani? E’ vero che i consumatori tra i 18 e i 44 anni, quelli delle generazioni Z e Millennials, non hanno interesse al vino, lo considerano roba da vecchi e non hanno voglia di spendere? La verità è un’altra. (altro…)

Vini senza alcol o poco alcol

https://www.corriere.it/economia/life/vini-dealcolati/

https://www.corriere.it/economia/life/vini-dealcolati/

Quanto vale questo nuovo mercato

Chi è già pronto e chi si prepara

«Un decreto dovuto», il mercato vitivinicolo ha accolto così, lo scorso 23 dicembre, il via libera alla produzione di vini senza alcol in Italia. Data storica per la filiera nazionale del vino che può ora operare con le stesse regole in vigore già da 3 anni sul mercato europeo. «E’ ora di recuperare lo svantaggio nei confronti della concorrenza», sostengono le aziende, specie le più grandi, che da tempo mordevano il freno. «Siamo attente al tema e studiamo il da farsi», affermano le cantine che non hanno ancora prodotti pronti. «La cosa non ci interessa», taglia corto una larga fetta di vignaioli, soprattutto piccoli e medi.

Ma il dado è tratto. E rompe un grosso tabù nel paese leader al mondo per la produzione di vino dove, fino a oggi, non si poteva chiamare vino una bevanda che avesse un tenore alcolico inferiore a 8,5 gradi.

«E’ possibile» dispone il neonato decreto «ridurre parzialmente o totalmente il tenore alcolico dei vini, dei vini spumanti, dei vini spumanti di qualità, dei vini spumanti di qualità di tipo aromatico, dei vini spumanti gassificati, dei vini frizzanti e dei vini frizzanti gassificati».

Resta il divieto assoluto, e nulla quindi cambierà, per tutti i vini a denominazione protetta, Dop e Igp, che rappresentano la spina dorsale, distintiva e di maggior valore, del vigneto Italia e  che hanno fatto volare il made in Italy enologico su tutte le piazze internazionali.

Dealcolazione libera, invece, per le tipologie di vini da tavola. Più precisamente potrà essere classificato come dealcolato  un vino che abbia un titolo alcolometrico non superiore a 0,5% e potrà essere parzialmente dealcolato un vino con alcol superiore a 0,5% ma inferiore al minimo della categoria precedente alla dealcolazione, normalmente compreso tra 8,5%- 9%.

Ma cos’è questa voglia di realizzare vini senza alcol o a basso contenuto di alcol? Una nuova moda?  O i cosiddetti vini Nolo (no e low alcol) rispondono a precise e crescenti richieste di mercato?

I numeri

«In Italia il 36% dei consumatori è interessato a consumare bevande dealcolate; negli Stati Uniti, incubatore di tendenze specie tra i giovani, il mercato Nolo vale già un miliardo di dollari», ha precisato Paolo Castelletti, segretario generale di Unione italiana vini, l’organismo di categoria convinto che l’introduzione di queste nuove categorie di prodotto possa offrire al settore opportunità di business, aprendo a nuovi mercati e target di consumatori complementari alla domanda di vini convenzionali. «E’ un’opportunità varata da tempo in Europa e siamo quindi favorevoli», sottolinea Lamberto Frescobaldi, presidente Uiv, ponendo però una condizione: «L’importante è che il prodotto dealcolato sia realizzato all’interno della filiera del vino e sia possibile tracciarlo». (altro…)

Sta per finire un 2024 difficile.

PHOTO-2024-11-25-08-38-35 Tiene l’export dei primi 8 mesi. Comprano più vino famiglie benestanti, over 55, senza figli a carico.Tra i consumi fuori casa vincono le bollicine.

Ci sono luci. Come la buona performance del Brunello di Montalcino sul mercato americano in chiusura dei primi 9 mesi di quest’anno: in una cornice depressa, con risultati negativi per i vini rossi fermi, non solo italiani, il Brunello ha messo a segno una crescita  del 5% a volume e dell’1% a valore, piazzandosi anche al vertice del mercato luxury statunitense.

Non solo. E’ un progetto importante la creazione di un distretto della spumantistica umbra nella fascia appenninica Eugubino Gualdese che coinvolge le aziende agricole Semonte e Arnaldo Caprai, e punta a valorizzare zone montane abbandonate, offrendo alla vite un territorio più idoneo di fronte allo stravolgimento climatico in atto.

Solo due tra i molti esempi di vitalità e capacità progettuale del comparto vitivinicolo nazionale, in procinto di chiudere una delle sue annate più complesse e in vista di difficili sfide.

«Inflazione, salutismo e geopolita hanno pesato e peseranno sul mercato del vino anche nel 2025», sottolinea Alessandro Regoli, direttore di Winenews, sito di riferimento del settore, sintetizzando lo scenario tracciato da Iwsr International wine & spirits research.

Tra le incognite, oltre a quelle dovute ai conflitti aperti in Ucraina e Medio Oriente ci sono preoccupazioni per la riforma delle imposte sugli alcolici nel Regno Unito (da febbraio 2025), e per le politiche che Donald Trump, rieletto presidente, vorrà attuare negli Stati Uniti primo mercato del vino al mondo, dove si temono nuovi dazi.

La riprova del peso della piazza Usa per gli operatori italiani arriva anche dai dati Istat dell’export del vino italiano nei primi 8 mesi del 2024 analizzati da Winenews. Dati che riportano fiducia: le esportazioni hanno infatti raggiunto i 5,17 miliardi con un incremento del 4,6% sul 2023. Buono il risultato in Germania, tra i paesi top per l’Italia, ma è appunto l’Usa a confermarsi lo sbocco principale per il vino made in Italy, con valori in crescita del 7,8% per 1,25 miliardi di euro, giro di affari superiore a quello generato con gli altri partner. E’ inoltre molto probabile una corsa degli ordini a fine anno, per evitare i problemi che potrebbero arrivare dai dazi sui prodotti europei già promessi da Trump.

Questo dunque lo scenario internazionale, ma qual è la fotografia dei consumi interni? Lo scatto più preciso e ricco di sorprese emerge dall’analisi dell’Osservatorio Uiv realizzato a braccetto con Niq Italia. Si scopre così che il principale consumatore di vino ha oltre 55 anni, non ha più figli a carico, è titolare di un reddito sopra la media e spende 1,83 miliardi di euro l’anno, pari al 59% della spesa totale di vino nella grande distribuzione organizzata. Questo universo che conta 11,3 milioni di famiglie, fa la parte del leone rispetto ai  nuclei familiari con figli che spendono meno del 24% del totale, e a quelli delle famiglie under 55 anni, senza figli a carico, che si fermano a meno del 18%. In soldoni chi compra più bottiglie di vino al supermercato è più avanti negli anni e ha più soldi in tasca.

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L’anticipazione della classifica 2023 in occasione del Vinitaly

I 27 big del mercato italiano del vino (dati dai bilanci 2023)

Anticipazioni Classifica 2023Più di 5,9 miliardi di fatturato totale, 3,8 miliardi di esportazioni, 1,8 miliardi di bottiglie: sono i primi dati 2023 del club over 100 milioni. Ovvero delle aziende vinicole che hanno chiuso l’ultimo esercizio con incassi superiori a 100 milioni e figurano al vertice della speciale classifica delle oltre 100 cantine più grandi d’Italia (che l’Economia pubblicherà nei prossimi mesi).

Per la prima volta, dopo alcuni anni di crescita, il numero dei big è rimasto invariato a quota 27: una prova in più di quanto sia stato complesso il 2023. Ci sono aziende che pur vicine al traguardo dei 100 milioni non sono riuscite a fare il grande salto o addirittura hanno fatto qualche passo indietro, rimandando l’appuntamento a tempi migliori. Del resto è stata dura per tutti: negli ultimi 12 mesi il mercato vitivinicolo italiano ha chiuso i conti con una flessione   di circa il 2%, per un giro d’affari totale di 14,1 miliardi (stima Osservatorio Uiv).

Ma cosa hanno combinato i protagonisti del club? Hanno sicuramente lavorato sodo per mantenere le posizioni. Dopo l’abboffata delle crescite a due cifre del 2022, gli incrementi del fatturato 2023 risultano molto più contenuti e non sono pochi i segni meno anche in questo club esclusivo: riguardano 8 cantine private e 3 cooperative. Si tratta comunque di big con le spalle grosse, capaci più di altri di far fronte a periodi difficili. E non mancano alcuni exploit. (altro…)

Unicredit – Nomisma

Con un ammontare di esportazioni pari a 2,8 miliardi, Il Veneto è la regione che manda più vino nel mondo e copre da sola il  36% del totale export vinicolo italiano nel 2023. Al secondo posto c’è il Piemonte con 1,2 miliardi e al terzo la Toscana con 1,1 miliardi. Le tre regioni al top accusano però una flessione del fatturato export rispettivamente dello 0,2%, del 5,6% e del 4%, mentre realizza una forte crescita il Friuli Venezia Giulia con un incremento dell’8,4%.

E’ uno dei tanti dati che emergono dal terzo «Osservatorio sulla competitività  delle Regioni italiane del vino» realizzata da Wine Monitor Nomisma per conto di Unicredit, uno dei gruppi bancari più attivi nei confronti dell’industria vitivinicola nazionale. (altro…)

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