Terra straordinaria, tra i Paesi più vocati al mondo nella coltivazione della vita, l’Italia vanta una tavolozza di vitigni e di vini che non ha uguali. Un patrimonio che ogni regione cura come un figliolo, esaltandone le caratteristiche, con risultati significativi. In alcune zone più che altrove. In occasione del Vinitaly 2025, una importante ricerca mette a fuoco la competitività delle regioni del vino: è il terzo rapporto realizzato da Wine monitor Nomisma per conto di UniCredit. L’indagine si concentra quest’anno sull’export, vale a dire su una delle voci più importanti nel bilancio del mercato vitivinicolo nazionale, per non dire decisiva nei conti di tutte le maggiori cantine del Vigneto Italia.
Ebbene, dopo la battuta di arresto dello scorso anno, il mercato vitivinicolo 2024 ha chiuso con un export di 8,1 miliardi pari a una crescita del 6% trainata in modo particolare dagli spumanti che continuano ad affermarsi a tutte le latitudini, fino a pesare per il 30% sulle esportazioni totali del settore. Uber alles nella batteria delle bollicine è ancora una volta, e sempre di più, il Prosecco che rappresenta da solo il 22% di tutto l’export vinicolo italiano. Ed è proprio grazie al Prosecco che il Veneto si consolida come la prima regione esportatrice, rappresentando da sola circa 3 miliardi di euro, pari a un incremento del 7,3% sul 2023.
Oltre all’allungo dell’export veneto, una grossa novità nella classifica 2024 delle principali regioni esportatrici, è il sorpasso della Toscana ai danni del Piemonte. Entrambe queste importanti regioni, culla di vini tra i più famosi e pregiati al mondo, nel 2023 avevano registrato un decremento delle esportazioni: nel 2024 la Toscana ha però ricominciato a correre ed ha messo a segno una crescita del 9% , mentre il Piemonte ha continuato a muoversi al rallentatore, portando a casa un misero +0,1%.
Dinamici e competitivi
«La fotografia della filiera vitivinicola italiana che emerge dalla ricerca Nomisma è quella di una realtà dinamica e competitiva, con esportazioni in crescita. Un’immagine coerente con il supporto di UniCredit alle aziende del settore, in aumento dell’11% nel 2024, con oltre 220 milioni di nuovi finanziamenti — sottolinea Remo Taricani, deputy head of Italy di UniCredit, tra i gruppi bancari più attivi su questo fronte —. Nonostante il nuovo scenario di incertezza regolamentare e di tensione commerciale a livello globale, siamo certi che la nostra banca possa continuare a ricoprire un ruolo di primaria importanza per le imprese, aiutandole a portare avanti efficaci strategie di diversificazione dei mercati di sbocco».
Ma quali sono i vini Dop regionali più gettonati dai mercati esteri? La palma dei più richiesti spetta ai rossi fermi toscani che hanno registrato una crescita del 12% sul 2023. Al secondo posto si piazza il Prosecco (+11%), seguito dai bianchi fermi del Veneto e da quelli della Sicilia, che hanno portato a casa entrambi un incremento del 9%.
Segno negativo invece per Asti spumante e per tutti gli altri spumanti Dop. Questi ultimi per la verità sono più venduti sul mercato domestico, ma hanno comunque risentito della relativa capacità di spesa dei consumatori e del rallentamento economico che ha interessato soprattutto i mercati europei, a cominciare dalla Svizzera. Basti pensare, d’altra parte, che nel 2024 anche l’export di Champagne è crollato dell’8%.
Tra i principali mercati di sbocco del vino italiano, si fa notare il rimbalzo dell’11% messo a segno lo scorso anno dagli Usa, dopo il calo del 2023, anche se va detto che questa crescita è in parte drogata dall’accumulo di scorte accelerato dagli importatori negli ultimi mesi dell’anno, di fronte al timore di nuovi dazi annunciati dalla nuova amministrazione Trump. «Il minacciato dazio del 200% rappresentava una vera «messa al bando — afferma Denis Pantini, head of Agrifood wine monitor —. Lo dimostra quanto accaduto ai vini australiani in Cina quando dal 2021 al 2024 hanno subito un analogo trattamento (218% di dazi) a causa di una “ripicca” politica da parte di Xi Jinping nei confronti del governo di Canberra».
Ma le prospettive non sono buone anche di fronte ai dazi del 20% appena decisi: è indubbio che una «gabella» simile genera una sorta di barriera all’ingresso i cui effetti risultano più pesanti per quei vini italiani che hanno negli Usa uno dei principali mercati di sbocco. Tra questi, i bianchi Dop del Trentino Alto Adige e Friuli Venezia Giulia, per i quali gli Usa pesano per il 48% del valore del proprio export, i rossi Dop della Toscana (40%), quelli del Piemonte (31%), così come per i bianchi Dop di Toscana e Veneto (29%).
A proposito di Stati Uniti, la novità principale del Rapporto Nomisma Wine Monitor-UniCredit riguarda un’indagine su quasi duemila consumatori americani di vino (residenti negli stati federali di California, New York e Florida) finalizzata a comprendere il posizionamento e il percepito delle regioni vinicole italiane e delle principali denominazioni presso tali consumatori. Tra le tante indicazioni emerse da questa particolare analisi del Report Wine Monitor 2025 che sarà presentato al Vinitaly domani (alle 11, presso lo stand di Confagricoltura), è emerso come siano 7 su 10 i consumatori statunitensi che nel corso dell’ultimo anno hanno scelto di comprare un vino italiano, confermando il forte apprezzamento per i prodotti del Belpaese, con Toscana, Sicilia e Piemonte in vetta alla classifica delle regioni produttrici dei vini giudicati di maggiore qualità.
Tra i più apprezzati spiccano Prosecco, Pinot Grigio e Chianti: nel percepito degli intervistati, le singole denominazioni italiane vengono associate a valori differenti, ma a fare da denominatore comune è il richiamo all’italianità e alla tradizione. Non a caso, è proprio la tradizione del vino italiano il principale motivo che spinge gli statunitensi a consumarlo, seguito dalla varietà e ricchezza dei vitigni autoctoni.